HomePiemonteVercelliVisita alla tenuta Colombara: un tuffo nella storia del riso vercellese

Visita alla tenuta Colombara: un tuffo nella storia del riso vercellese

“Ma il riso nasce davvero nell’acqua?” È la domanda che apre la nostra visita alla Tenuta Colombara, nel cuore delle risaie di Livorno Ferraris, in provincia di Verceclli. A rispondere è il signor Mario, la guida che accompagna le famiglie a scoprire questi luoghi dove da secoli dove da secoli si coltiva il riso e racconta una storia che va dalle mondine di un tempo fino all’eccellenza del riso Acquerello, amato dagli chef di tutto il mondo.


Un po’ di storia della tenuta Colombara

Camminando nella corte, il signor Mario racconta come tutto sia iniziato intorno al 1300. All’epoca, nel cuore della pianura vercellese, sorgeva una piccola “colombara”, un edificio fortificato circondato da terreni e canali.



Il nome deriva proprio dalle colombaie, le torri dove si allevavano i piccioni viaggiatori, preziosi messaggeri che collegavano i poderi tra loro.
In origine la tenuta era un ospizio per viandanti e pellegrini che percorrevano le vie tra Vercelli e la Lomellina.
Con il passare dei secoli, le acque del fiume Sesia e dei canali circostanti trasformarono la pianura in una terra fertile: le prime testimonianze di coltivazione del riso risalgono già al Quattrocento, introdotte dai monaci cistercensi.

Nel Cinquecento, sotto la proprietà dei monaci di Sant’Andrea di Vercelli, la tenuta Colombara assunse la forma che oggi conosciamo: una grande corte chiusa con edifici disposti intorno a un cortile centrale, una piccola chiesa e le abitazioni per le famiglie contadine.

Con l’arrivo dell’età moderna, tra Seicento e Settecento, la Colombara passò di mano più volte tra famiglie nobili piemontesi e lombarde.
Nel XIX secolo la cascina divenne un importante centro agricolo del vercellese, cuore pulsante della coltivazione del riso. In questi anni nacque anche la figura delle mondine, le donne che arrivavano stagionalmente per trapiantare e diserbare il riso, dando vita a una stagione sociale e culturale unica nel suo genere.

Quando poi, nel Novecento, arrivarono i Rondolino, la tenuta era un luogo carico di memoria ma anche di potenzialità. Oggi, grazie al loro impegno, la Colombara conserva le tracce del passato e le intreccia con la modernità ed è divenuta sede didattica distaccata dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, sede produttiva di Riso Acquerello e sede del Conservatorio del Riso, museo dedicato alla cultura risicola del vercellese visitabile esclusivamente su prenotazione.

La visita guidata alla tenuta Colombara

Ed è proprio a questa visita che abbiamo preso parte.
Tutto inizia varcando un grande cancello che si apre su una corte, al centro prati ben curati, tutto intorno gli ambienti dove viveva la manovalanza, le stalle, oggi il ricovero dei trattori e vecchie macchine agricole.
Il signor Mario ci riunisce tutti in cerchio per raccontare la storia di questi luoghi, custode di un tempo antico che ha vissuto in prima persona e che con pazienza e passione ha ricostruito utilizzando oggetti d’epoca recuperati dalle cantine dei suoi vicini.
Entrando in quelle stanze sembra davvero di fare un salto indietro nel tempo: una cucina di inizio Novecento, con il camino e le pentole in rame lucidate a mano; una camera da letto degli anni ’20, con il letto in ferro battuto e la brocca per l’acqua sul comodino; e poi un’altra stanza, ricreata come negli anni Cinquanta, con i primi giocattoli in latta e una radio che sembra pronta a trasmettere le notizie della domenica.

Alla tenuta Colombara, fino al 1970, c’era anche una scuola: un’unica pluriclasse dove bambini e bambine, dai più piccoli ai più grandi, imparavano insieme le basi dell’italiano e della matematica per cavarsela da soli. L’aula aveva tutto l’essenziale: una cattedra con il registro e un vaso di fiori per abbellirla, i banchi con la penna e il calamaio per scrivere, e una grande carta geografica del Nord Italia appesa alla parete.

Ogni mattina il rito condiviso si ripeteva: “Buongiorno, signora maestra” dicevano alunni e alunne. Poi la preghiera, e un veloce controllo della pulizia di mani, viso e orecchie. Essere in ordine era già una forma di salute.

I piccoli visitatori provano a sedersi nei vecchi banchi e si lamentano di quanto erano scomodi, sono costretti a stare dritti dritti con la schiena e Mario spiega a cosa serviva la bacchetta della maestra e che cosa è un abaco, tutti sono rapiti e affascinati nell’ascoltare il racconto di una realtà così simile ma così diversa da quella di oggi.

Usciamo all’aria aperta, nella luce accecante del sole di ottobre, lasciamo gli ambienti carichi di storia quotidiana per dirigerci verso il luogo clou della visita ovvero la cascina in mezzo alle risaie dove riposavano le mondine, le donne che con il loro lavoro hanno più di tutte contribuito alla ricchezza di questi luoghi.

Attraversate le enormi stalle dove un tempo erano ricoverate più di 200 mucche e dove oggi si svolgono cene, pranzi e degustazioni di riso Acquerello, siamo usciti dalle porte della tenuta e abbiamo camminato tra le risaie, ora giallo oro, per arrivare a una struttura imponente proprio nel mezzo dei campi di riso: il dormitorio delle mondine.

Le mondine: donne, lavoro e coraggio

Le mondine erano le donne che, tra fine Ottocento e metà Novecento, arrivavano da tutta Italia per lavorare nelle risaie del vercellese e del novarese. Venivano soprattutto da Emilia, Veneto e Lombardia, e per settimane o mesi lasciavano le loro famiglie per guadagnare un salario stagionale.

La monda, così si chiamava il lavoro nelle risaie, cominciava all’alba. Le donne, chine nell’acqua fino alle ginocchia, con il sole che si rifletteva come uno specchio, trapiantavano le giovani piantine di riso e strappavano le erbacce a mani nude.
Era un lavoro durissimo, sotto il sole e tra sciami di zanzare, ma anche un momento di solidarietà femminile, di risate e di canti.

Nel grande stanzone della Colombara, le file di letti in ferro, le brocche smaltate, le cassapanche di legno e le fotografie d’epoca raccontano un tempo di fatica, ma anche di forza collettiva.

La giornata di lavoro iniziava all’alba e terminava al tramonto, interrotta solo da brevi pause. Per riposare un po’ la schiena e il cuore, le donne intonavano canti a più voci, le canzoni delle mondine, oggi patrimonio della memoria popolare.

Brani come “Se otto ore vi sembran poche” o “Bella ciao” — nata proprio tra le risaie come canto di protesta — accompagnavano il ritmo delle mani e dell’acqua.
Cantavano per non sentirsi sole, per tenere il passo, ma anche per farsi sentire da chi stava nelle case padronali, un modo di chiedere rispetto e diritti.

Negli anni ’40 e ’50 le mondine furono protagoniste delle prime lotte sindacali nel mondo agricolo italiano. Chiesero migliori condizioni di lavoro, una paga più giusta, orari più umani. Molte di loro parteciparono a scioperi storici, diventando simboli di emancipazione e di coraggio femminile.

Nei racconti di Mario tanti aneddoti su queste giovani e meno giovani che ha conosciuto personalmente e che hanno fatto la storia del riso e del lavoro in Italia, e tanti oggetti appoggiati sui piccoli letti che suggeriscono altrettanti storie di vita e sogni: una chitarra, un libro, qualche lettera, una manciata di fotografie, piccoli addobbi per rendere più dolce la permanenza nei campi lontane dalle famiglie. Una stanza di grande impatto visivo ed emotivo, per tutti.

La famiglia Rondolino e il sogno di Acquerello

Dopo il tuffo nel passato, Mario ci accompagna a conoscere il presente della Tenuta.
Qui, da quasi un secolo, vive e lavora la famiglia Rondolino, che ha saputo trasformare la tradizione contadina in un progetto d’eccellenza: il riso Acquerello, considerato da molti chef il miglior Carnaroli al mondo.
Tutto comincia nel 1935, quando Cesare Rondolino acquista la Tenuta Colombara e decide di farne un centro agricolo modello. Negli anni Ottanta, suo figlio Piero Rondolino, insieme ai figli Rinaldo e Maria Nava, dà vita a un sogno ambizioso: produrre un riso che unisca la purezza del chicco bianco alla ricchezza nutritiva del riso integrale.

Il riso Acquerello è unico perché viene invecchiato fino a sette anni nei silos di acciaio, e poi lavorato con un metodo brevettato che reintegra la gemma del chicco, cioè la parte più preziosa. È l’unico riso al mondo che lo fa.

Il viaggio del chicco di riso

Il signor Mario guida i visitatori lungo un percorso che segue il viaggio del chicco, dal campo alla tavola.
Si parte dai silos di invecchiamento, torri d’acciaio alte come palazzi dove il riso “riposa” per anni.
Da qui si passa alla sala di sbiancatura, dove enormi cilindri lucidano i chicchi uno a uno, rispettandone la forma e la struttura. Ma il momento più sorprendente è quello in cui ci viene spiegata la tecnologia brevettata che reintegra nel chicco la gemma, ricca di vitamine e sali minerali. Quella parte che di solito si perde durante la lavorazione viene rimessa in circolo creando una sorta di pellicola sopra il chicco che permette al riso Acquerello non solo di cuocere meglio, ma di essere anche più nutriente.

Innovazione, sostenibilità e rispetto per la terra

La famiglia Rondolino non ha solo innovato la lavorazione, ma anche il modo di pensare all’agricoltura.
Nelle risaie della Colombara si utilizzano tecniche a basso impatto ambientale, si riduce il consumo d’acqua e si favorisce la biodiversità.

Camminando lungo i canali, Mario indica i nidi delle cicogne e le aironi bianchi che sorvolano i campi: qui convivono agricoltura e natura. Dove c’è acqua pulita e rispetto per la terra, ci sono sempre gli animali.
Durante la visita, si passa anche accanto al magazzino di confezionamento, dove il riso viene chiuso in eleganti lattine di metallo sottovuoto, un’idea geniale per conservarne la freschezza e l’aroma come appena raccolto.
Ma perché si chiama Riso Acquerello chiede un bambino?
Il nome è un omaggio all’acqua, che è l’anima del riso. Senza acqua, qui non nascerebbe niente. Ma è anche un riferimento alla leggerezza e alla trasparenza del disegno a acquerello, che rappresenta perfettamente la delicatezza del lavoro svolto dall’azienda.

La visita si conclude così, le mani affondate nei chicchi e una gran voglia di provarlo nel piatto.
Noi non abbiamo perso l’occasione e ci siamo diretti a pochi passi dalla tenuta all’osteria La Colombara, tipica trattoria di campagna con un menu a tutto riso: pentole in rame con abbondanti porzioni di panissa e altri condimenti sfiziosi soddisfano i palati e le pance più esigenti (prenotate o non troverete posto 0161 421087)!

Info utili per la visita alla tenuta Colombara

La Tenuta Colombara è molto più di una riseria: è un vero e proprio museo a cielo aperto.
Nei diversi edifici si trovano laboratori artigiani, la vecchia scuola del borgo, il forno, la bottega del falegname e quella del sellaio.
Tutto è stato restaurato con cura, per far rivivere la vita di una cascina del passato.

• Durata: 2 ore.
• Quando andare: la primavera e l’autunno sono i momenti più suggestivi, ma la Tenuta è affascinante in ogni stagione.
• Come prenotare: le visite sono su prenotazione
• Contatti: Telefono: (+39) 0161477832 e-mail: info@acquerello.it

Se ti è piaciuta questa visita leggi anche le risaie, il mare in Piemonte.

Elena Marcon
Elena Marcon
Elena Marcon, amante del buon cibo e del buon vino. Mamma di Arturo e organizzatrice seriale di gite in Piemonte e viaggi in tutto il mondo
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